Arriva un certo punto della vita in cui s’incomincia a invecchiare. Come viversi questo momento e il periodo che ne seguirà?
Fino a non molto tempo fa, l’invecchiamento non veniva contemplato in ambito psicologico e psicoanalitico se non per batterie di test che valutassero il livello di decadimento cognitivo.
Questo succedeva perché si pensava, secondo Freud ad esempio, che vi fosse troppo “materiale” accumulato per poter essere analizzato, oppure perché le malattie neurodegenerative compromettono il livello di pensiero e non sia quindi possibile fare un lavoro di analisi, o perché di fatto la vecchiaia sia terreno della neurologia e non della psicologia.
Tutto ciò nasce anche da un preconcetto: quello che gli anziani siano rigidi e poco disponibili al cambiamento.
Se tale pregiudizio è vero in alcuni casi, non vale però per tutti.
L’invecchiamento infatti è un processo eterogeneo che prevede un’enorme variabilità al suo interno: ci sono anziani che svolgono le funzioni di capo di Stato o che corrono la maratona di New York e altri che non sono in grado di riconoscere i membri della propria famiglia o non riescono ad alzarsi dal letto.
Nel mio lavoro clinico sia in studio sia nelle istituzioni, ho a che fare con persone che hanno superato i 65 anni di età, data stabilita come inizio della vecchiaia e ho spesso rilevato come i pregiudizi influenzino la persona e il suo momento di vita.
Intendo dire che a volte, raggiunta una certa età, ci si lascia andare, convinti che sia finita, che ci sia più poco che meriti di essere vissuto.
Quando invece si riesce a uscire da questo pensiero a priori, si può scoprire di essere in un’età nuova, che ha caratteristiche di cui tenere conto sia nel bene sia nel male, che merita di essere vissuta al meglio delle proprie possibilità.
Alcuni dati demografici
L’aspettativa di vita alla nascita in Italia è aumentata di 3 anni dal 2001 al 2013 e il record di longevità è passato da 112 anni nel 1980 ai 122 anni nel 1997. L’invecchiamento demografico si spiega con l’aumento della speranza di vita dato sia dalla diminuzione della mortalità infantile sia dal miglioramento delle condizioni di vita. L’invecchiamento della popolazione è inoltre legato alla diminuzione del tasso di fertilità, ossia al numero di figli che una donna mette al mondo nella sua vita riproduttiva.
Cosa significa tutto ciò? Che al netto di incidenti o malattie che ci porteranno via prima, la nostra prospettiva di vita è molto elevata e prevede non solo una terza età, ma probabilmente anche una quarta e forse addirittura una quinta età. Si distinguono infatti:
- i giovani anziani, dai 65 ai 74 anni
- gli anziani, dai 75 agli 85 anni
- i grandi vecchi, dagli 85 ai 99 anni
- i centenari, oltre i 100 anni
Stiamo parlando di una durata variabile fra 20 e 40 anni di vita, se non addirittura oltre. A fronte di tale dato, credo sia doveroso verso se stessi e verso gli altri domandarsi cosa ne facciamo di questo tempo che ci è concesso e provare a viverlo e non a subirlo. Ma andiamo con ordine.
Cosa cambia
È indiscutibile che l’entrata nell’età della vecchiaia comporti molti cambiamenti, così come del resto li hanno comportati tutti i transiti precedenti: dall’infanzia all’adolescenza all’età adulta. Alcuni di questi cambiamenti sono somatici, come la sensazione di affaticamento o mancanza di energia o i malesseri e le malattie vere e proprie; altri riguardano la sfera cognitiva e possono essere la perdita di memoria o la velocità di apprendimento; altri ancora riguardano l’identità e hanno a che fare ad esempio con il pensionamento o con il diventare nonni; infine altri cambiamenti sono di tipo relazionale come la condizione di vedovanza, l’allontanamento dei figli, l’acquisizione di un nipotino.
Tali modificazioni possono essere vissute dalla persona con la giusta dose di resilienza, cercando quindi sia di adattarsi alle nuove condizioni sia di trovare strategie utili a “sfruttare” al meglio il momento di vita che si ha dinanzi oppure si può perdere il senso di controllo sulla propria vita, il senso di autoefficacia e iniziare a pensare che tutto sia perduto.
“Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre” – Tommaso Moro
Un uomo che ha occupato buona parte della sua vita a lavorare e a dedicarsi alla famiglia può vivere un comprensibile momento di smarrimento quando si trova a essere in pensione e i figli si sono trasferiti: è verosimile che quell’uomo senta un vuoto che non sa come colmare.
Si tratta quindi di fare una ristrutturazione cognitiva ed emotiva della propria vita, accettando innanzitutto che la situazione è modificata, piuttosto che impelagarsi nell’impossibile tentativo di far sì che nulla cambi. Chiedendosi successivamente: che cosa mi fa stare bene? Che cosa voglio per me nei prossimi 25 anni di vita? Quali sono i miei interessi? E quali strumenti ho nel mio bagaglio personale che mi possono aiutare in questo momento (amici, parenti, abilità fisiche mantenute, patente di guida, associazioni in cui ho un ruolo riconosciuto, persone per cui sono importante e utile, passioni che mi stimolano)?
Il Sig. Mario
Il Sig. Mario, sessantacinquenne entrato da poco in pensione dopo una vita passata come funzionario di banca e padre di famiglia, da qualche mese si ritrova da solo in casa con sua moglie, mentre i figli sono ormai tutti fuori con i loro partner e le loro famiglie. Mario, che si è svegliato sempre presto al mattino, che alle 8.00 era già seduto in ufficio, ora apre gli occhi, pensa alla sua giornata e non vi trova appuntamenti. E si sente vuoto.
Mario ha due strade: quella di sentirsi inutile e alla fine della sua carriera di padre e di funzionario di banca, in una parabola ormai discendente della sua vita. Oppure può scoprire che si può concedere il lusso di dormire un po’ di più al mattino e prendersela comoda, fare colazione con sua moglie e più tardi andare insieme a lei a fare la spesa. Può scoprire che archiviata la carriera di padre, può impegnarsi in quella di nonno e finita quella di bancario, può pensare sia alle attività che da sempre gli piacciono sia a nuove attività in cui cimentarsi: ormai la ricerca in ambito delle neuroscienze ha contribuito a identificare il concetto di neuroplasticità, mettendo in luce la possibilità di cambiamento del cervello (e presumibilmente della mente) anche nella vecchiaia. E così Mario potrà dedicarsi a organizzare viaggi e vacanze come da sempre ama fare non solo più per sé ma anche per gli amici e i parenti, ma potrà anche iscriversi a un corso di spagnolo, rimettendosi sui libri e prenderà lezioni da suo nipote quindicenne su come diavolo funzionano Instagram e gli altri social.
Accanto al declino delle risorse psicofisiche del soggetto anziano con tutti i cambiamenti comportamentali, emotivi e mentali ad essi associati, emergono nuovi modi di vivere, con abitudini e ruoli e modalità relazionali diverse.
Arthur Rubinstein, celebre pianista che è riuscito a mantenere prestazioni elevate sino ad età avanzata, in un’intervista in cui gli si chiese come facesse a mantenere tale livello, rispose di selezionare brani adatti alla sua condizione che era caratterizzata da un rallentamento motorio delle dita, dedicando molto più tempo all’esercizio di alcune parti per ottimizzarne l’esecuzione ed eseguendo alcuni passaggi in modo più lento. Questo è solo un esempio di invecchiamento positivo e di non rinuncia alla propria passione e ragione di vita, ma negli ultimi decenni si è assistito sempre più all’emergere dell’invecchiamento di successo o positivo, caratterizzato da un insieme di esperienze che salvaguardano le persone anziane dalla tristezza e dall’isolamento sociale, aspetti comuni in questa fase di vita.
Ma io non mi sento vecchio
Se nell’antichità si ricorreva a pozioni, rituali e alimenti magici, oggi, per evitare i segni del tempo, si fanno diete, si assumono integratori e sostanze chimiche, si dilapidano capitali nella chirurgia estetica. Ma nonostante questa spasmodica ricerca secolare, le raffinate conoscenze e le tecnologie in nostro possesso, invecchiare porta con sé il mistero del divenire a cui nessuno può venir meno se non per una possibilità meno gradevole della vecchiaia che è una morte prematura.
A proposito di quello che dice Tommaso Moro, la morte e l’invecchiamento fanno parte di ciò che non è in nostro potere cambiare. Eppure vi sono molte persone che giunte all’età della pensione non si sentono vecchie e hanno ragione se per “vecchio” s’intende una persona che è solo in declino.
Oggi sempre più persone ad esempio scelgono di continuare a lavorare oltre l’età del pensionamento e questo non sempre per ragioni economiche. Sentirsi attivi e utili fa stare bene.
Buone prassi
Anche se non si può evitare di invecchiare e non ci sono rimedi magici anti-età, vi sono però modi per favorire una migliore qualità di vita e di salute. È stato infatti dimostrato che alcuni fattori sociali, psicologici e comportamentali favoriscono un buon invecchiamento e allungano la speranza di vita. Tra questi troviamo:
- astensione attiva e passiva dal fumo;
- dieta bilanciata e non essere sovrappeso;
- esposizione al sole moderata;
- esercizio fisico costante che favorisce anche un buon tono dell’umore;
- consumo moderato di alcol;
- check-up regolari;
- presenza di momenti di svago e divertimento;
- un sonno di 7-8 ore per notte;
- presenza di relazioni sociali e di un ruolo socialmente attivo nella propria comunità;
- ambiente domestico sicuro;
- atteggiamento positivo verso la vita.
In particolare su quest’ultimo punto è bene fermarsi per fare una riflessione: quanto è difficile a volte avere un atteggiamento positivo? E se poi si aggiungono malanni, malattie nostre o dei nostri cari, preoccupazioni su più fronti, come si fa a mantenere un atteggiamento di fiducia verso la vita? Ci si allena.
Il pensiero positivo può nascere spontaneo in alcune persone ed essere uno sforzo per altre, ma in entrambi i casi focalizzare la propria attenzione sulla soluzione piuttosto che sul problema, è una capacità e come tale va allenata, giorno dopo giorno.
Una proposta pratica per tale tipo di allenamento può essere quella di ritagliarsi 10 minuti al giorno, tutti i giorni, per pensare a una cosa della giornata che è piaciuta, che ha fatto stare bene o per cui si è grati. Non deve essere necessariamente una cosa di grosso valore, può anche essere una cosa di poco conto in apparenza: il sorriso di un passante per strada, un profumo inaspettato, un caffè caldo, una bolletta particolarmente bassa, una telefonata piacevole. Anche nelle giornate peggiori, un avvenimento buono c’è sempre.
Si può tenere un diario di questi eventi, da scrivere la sera prima di coricarsi: questo è un modo per tenere traccia anche delle proprie giornate, dell’andamento del proprio umore e può tornare utile per allenare la memoria.
Certo è che rispettare buone pratiche e adottare uno stile di vita sano in modo costante è più difficoltoso e impegnativo rispetto all’assunzione di farmaci e vitamine.
Se vuoi verificare che correlazione ha lo stile di vita che conduci adesso, indipendentemente dalla tua età, con la tua vecchiaia, puoi scaricare e compilare il questionario sulla longevità che ti fornirà alcuni suggerimenti su che cosa aiuta a vivere più a lungo e meglio.
Allenamento emotivo
E quando si deve incominciare ad allenare il proprio pensiero, dirigendolo verso isole assolate piuttosto che verso neri fondali? Quando iniziare a lavorare su di sé e sul proprio benessere, provando così a gettare anche le basi per un invecchiamento soddisfacente?
Credo non sia mai troppo presto per iniziare a lavorare su di sé. E che sia un diritto da concedersi e al contempo un compito a cui si deve assolvere nei confronti di se stessi e delle persone che ci stanno accanto: perché una persona soddisfatta e in pace con se stessa non è “solo” una persona che sta meglio, ma è una persona che sa far stare meglio.
In quest’ottica A. Maderna sottolinea come le nostre vite siano troppo spesso improntate al fare piuttosto che al sentire, all’avere piuttosto che all’essere e che questo, nel lungo periodo, porti a un costo da pagare davvero alto in termini ad esempio di ansia e depressione.
Riferendosi al momento di passaggio dall’età adulta alla vecchiaia, egli afferma che “si apre lo spazio della solitudine, una solitudine che in realtà è sempre esistita, ma che era stata mascherata da un’ampia gamma di modalità centrate nell’ordine del fare a detrimento di altre nell’ordine del sentire. E per il soggetto promosso anziano, al quale vengono a mancare in rapida sequenza i luoghi e i modi del fare, la disabitudine a sentire, a svolgere cioè una gamma di operazioni centrate con la convivenza con la propria interiorità, comporta uno sbandamento al quale molti non riescono ad adattarsi”.
Un’affermazione dura questa del Prof. Maderna, ma che ci ricorda che un compito fondamentale dell’essere umano è quello dell’introspezione, mentre spesso ci troviamo impegnati a riempire il vuoto che sentiamo e che non vogliamo assolutamente sentire con cose, cose da fare, cose a cui pensare. Tutto pur di non pensare a come si sta, davvero.
Come ho già scritto in un articolo intitolato Psicoterapia ai limiti, è doveroso nei confronti di se stessi non rifuggire ciò che si sente , piacevole o spiacevole che sia, non averne troppa paura e non ritenersi sbagliati per ciò che si sente.
Ma ciò spesso non è facile perché l’ambiente in cui viviamo magari non ci aiuta o per il tipo di educazione che abbiamo ricevuto, improntato a non dare ascolto o addirittura a sminuire le proprie sensazioni e sentimenti, atteggiamento che se rinforzato porta ad avere poca fiducia in se stessi e una bassa autostima.
E così a volte c’è bisogno di un percorso per prendersi cura di sé con l’aiuto di un terapeuta che faccia da guida o che semplicemente stia accanto per affrontare insieme le difficoltà e i cambiamenti che si incontrano.
E se questo tipo di percorso un tempo era strano iniziarlo dopo i 50 anni, oggi invece è normale che una persona anche ben oltre l’età del pensionamento decida di potersi occupare di sé e della vita che ha davanti o che cerchi aiuto per poter sopportare il dolore di un lutto, di una malattia cronica o degenerativa, per cercare di abbassare i livelli di preoccupazione che si sono ormai trasformati in un’ansia costante per tutto.
Secondo Erikson la sfida per gli ultrasessantacinquenni è quella di riuscire a mantenere integro il proprio Sé a fronte di uno stato contrario di disperazione. È proprio in questo momento del ciclo di vita infatti che secondo Erikson si raggiunge la crescita completa della propria personalità accettando con soddisfazione e con un occhio benevolo la propria vita, nonostante le inevitabili imperfezioni presenti.
È vitale non smettere mai di pensare di poter crescere, di entusiasmarsi, di stupirsi, di imparare, di interessarsi a se stessi e alle persone care. E non per aspirare all’impossibile immortalità o onniscienza, ma per non spegnersi finché si ha vita. Affinché il proprio cammino non porti a ingrigire, ma a brillare d’argento.
Foto: Francesca Savino
Bravissima Francesca. Grazie.
Grazie a te, Giulia Cara