Quante volte i bambini, in maniera più o meno incalzante ci pongono questa domanda?
Eppure a volte noi adulti rimandiamo, chiediamo ai bimbi di attendere, di aspettare solo un momento perché c’è una commissione urgente da sbrigare, una mail improrogabile da spedire, la cena da approntare.
Per noi adulti il gioco del bambino è un passatempo, una serie di attività utile a intrattenerlo.
L’antropologo e storico olandese Johan Huizinga sostiene che il gioco per l’adulto sia addirittura superfluo, una funzione che potrebbe tralasciare.
Ma per i bambini (e gli animali) l’attività ludica è vitale, insita nel loro istinto.
Vi è alla base una necessità e un programma psichico che spingono i piccoli al gioco.
I bambini devono giocare.
Proviamo a capirne il perché.
Che cos’è il gioco
Lo studioso britannico Gregory Bateson in “Questo è un gioco”, afferma che il gioco è un processo biologico, di sopravvivenza, necessario per comprendere gli elementi del non gioco, una forma di esercizio o di allenamento alla vita reale, in cui il bambino passa, citando Freud, dalla “passività dell’esperire all’attività del giocare”.
Melanie Klein, la prima psicoanalista a introdurre il gioco nella stanza d’analisi con i bambini, si rende conto che il gioco è per il bambino un vero e proprio lavoro, un’attività che continuamente rappresenta ciò che egli ha nella sua mente, le sue fantasie e i suoi vissuti.
E si accorge che se con l’adulto il canale comunicativo è quello della comunicazione verbale, un bambino invece trasmette i suoi messaggi attraverso la narrazione del “facciamo finta che…”, attraverso il disegno e in primis attraverso l’attività ludica.
Il gioco è relazione
Quanto è prezioso allora il gioco! Esso è ciò che permette agli adulti di entrare in contatto con i bambini e con il loro mondo interno.
Il gioco dà accesso ai loro pensieri e alle loro emozioni. E permette di stabilire e rafforzare la relazione con loro.
E il gioco nasce proprio all’interno di una relazione, quella primaria con i genitori in occasione dell’accudimento del bambino. Spesso si tratta di giochi caratterizzati da un verso, una lallazione, un solletico, una pernacchia.
Giochi con il corpo e con i sensi che permettono al bambino di scoprire il suo corpo, le sue capacità di agire.
Potremmo addirittura dire che scopre la sua individualità separata da quella dei genitori. Attraverso l’interazione ludica con le persone che gli stanno accanto e che si prendono cura di lui il bambino sperimenta la scoperta.
Il gioco è libertà
Huizinga individua un’altra caratteristica del gioco: la libertà.
l gioco è libero e si discosta dalla vita reale, è “una fuga dalla realtà” in cui si perde il senso del tempo e non si danno limiti allo spazio.
Anche se è bene tenere presente la teoria di Huizinga, è vero che il bambino grande, oltre i 6 anni di età, è in grado di capire e di distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginario. A questa età un bambino sviluppa sia una mente scientifica e analitica, sia una mente narrativa e creativa che lo portano a voler inventare storie mettendole in scena.
Il gioco per il bambino piccolo
Diverso è invece il gioco per il bambino piccolo. Nei primi anni della sua vita, il bambino è volto a conoscere il mondo e a sviluppare le sue capacità.
Il gioco non ha un fine ludico ma è un’esigenza di scoperta di ciò che lo circonda e di conoscenza di se stesso e delle sue potenzialità.
Il gioco è quindi collegato al suo sviluppo psicofisico, alle sue azioni. Quelle che il bambino piccolo compie per costruire se stesso, consolidando le sue conquiste in diversi ambiti:
- nel movimento di grosso settore (dai primi tentativi di gattonamento, alla ricerca dell’equilibrio, alla conquista del camminare, correre, arrampicarsi e affinare la coordinazione del corpo);
- nel movimento fine (il lavoro delle mani);
- nel linguaggio.
Jean Piaget pone in evidenza la correlazione tra lo il gioco e lo sviluppo cognitivo, sostenendo che esso svolge ben due funzioni:
- la prima serve a consolidare le capacità già acquisite attraverso la ripetizione e l’esercizio;
- la seconda permette al bambino di sentire che può agire sulla realtà e non solo subirla. Perché nel mondo della fantasia non si è vincolati alle situazioni reali.
Il gioco nei piccoli è un’attività di esercizio, soprattutto nei primi anni di vita, nella fase sensomotoria: Il bambino attraverso l’afferrare, il dondolare, il portare gli oggetti alla bocca e nel manipolarli, esercita il controllo dei movimenti, la coordinazione, e in questo prova un piacere che lo spinge alla ripetizione e quindi all’affinamento.
Anche se agli occhi di un adulto sembrano quasi banali, è con queste attività che il bambino raggiunge le sue conquiste (ad esempio, aprendo e chiudendo ripetutamente un cassetto, svuotandolo e riempiendolo e nuovamente ripetendo queste azioni).
Il bambino nel gioco è tenace, ripetitivo, concentrato, in movimento: è un esploratore che vuole capire e comprendere come le cose del mondo intorno a lui funzionano.
Ed è per questo che in termini montessoriani non si parla di gioco, ma di lavoro del bambino, perché volto a costruire se stesso.
Bambini e adulti giocano insieme
Quando l’adulto gioca con un bambino ha un ruolo essenziale: quello di essere il trait d’union tra il piccolo e l’ambiente, diventandone un mediatore e un facilitatore.
Creando per il piccolo uno spazio di gioco, che dovrà essere sia sicuro e al contempo ricco di opportunità di scoperta, gli dà modo di appagare il suo desiderio di esplorare.
La scelta dei materiali
Si tratta di proporre materiali sensorialmente attraenti, che spesso possiamo trovare nella natura e nell’ambiente domestico e che offrono qualcosa in più rispetto ai giocattoli “preconfezionati” e commerciali, sia dal punto di vista della fattura, sia del loro utilizzo.
Materiali come le fibre di origine naturale e gli oggetti in legno sono molto più interessanti sia sul piano tattile e per l’utilizzo che il bambino potrà farne, piuttosto che quelli in plastica con una proposta di gioco già ben delineata e definita.
Creare uno spazio di gioco
L’adulto dovrà poi aver cura di creare uno spazio gioco accessibile al bambino, cioè uno spazio in cui il piccolo abbia la possibilità di scegliere liberamente l’attività, uno spazio “facile” ai suoi occhi, immediato, non confusionario e riordinabile.
Perciò la cameretta non dovrà mai essere sovraffollata di giocattoli e attività, ma scelti in base alle attitudini e agli interessi che il bambino dimostra di avere. Ed essendo una persona in crescita, i suoi interessi cambieranno e l’adulto dovrà perciò porre attenzione a modificare l’ambiente in base alle esigenze del piccolo. È dunque una buona scelta prediligere una cameretta che abbia pochi giochi ma di qualità e attività mirate da svolgere insieme.
Giocare con i bambini è faticoso?
Premesso che non per tutti è uguale, va detto che per molti adulti giocare con i bambini è faticoso.
L’attività ludica del bambino, soprattutto nei primi due anni di vita, è per lo più solitaria e autoreferenziale, a volte molto ripetitiva.
Per l’adulto non è sempre facile inserirsi nel gioco del bambino. L’adulto infatti ripropone dei modelli suoi, in una visione di gioco che ha alla base una modalità corale e collettiva, con una finalità precisa, in cui spesso inserisce l’elemento della sfida con se stesso e con l’altro.
Il bambino, pur essendo un piccolo individuo, ha una sua mente che è differente rispetto all’adulto. Ha bisogno di tempo, di spazio e fiducia.
Ha bisogno di uno sguardo che lo riconosca nella sua azione (quante volte i nostri bimbi ci richiamano dicendo “Guarda!!!”), di un compagno silenzioso ma presente, pronto a sostenerlo quando è necessario senza essere invadente e senza sostituirsi.
Perché, come scrive lo psicoanalista italiano Nino Ferro, è di fondamentale importanza la presenza dell’altro per giocare: il giocattolo da solo può aiutare il bambino a rappresentare ciò che sente. Ma è solo la presenza di qualcun altro (come nelle favole la presenza del narratore) che giochi con lui a garantire uno spazio sicuro e rassicurante, dentro il quale il bambino può muoversi con fiducia.
Una presenza discreta ma costante, come la definisce Elinor Goldschmid, una delle più importanti pedagogiste del ‘900 e attenta conoscitrice del mondo della prima infanzia.
«Solo nel gioco è possibile la comunicazione»
Lo ha detto il pediatra psicoanalista Donald Winnicott. Il gioco, così come la lettura, si pone dunque come un canale privilegiato tra adulto e bambino, un ponte relazionale tra due mondi.
Il gioco crea una spazio, il campo di gioco appunto, entro il quale adulto e bambino si muovono, arricchendolo di azioni e parole che nascono dalla loro stessa interazione, che non è mai uguale, ma cambia da una volta all’altra. Un po’ come i sogni.
Una dimensione dialogica, dunque, nella quale non va mai dimenticato che il bambino ne è il protagonista: è lui la nostra guida.
Ed è responsabilità dell’adulto rinunciare ad avere un ruolo direttivo, ponendosi perciò in una posizione di ascolto e osservazione, facendosi condurre in questo mondo dal bambino maestro.
Questo articolo è scritto a 4 mani con Daria Trombacco, educatrice montessoriana, formatrice e autrice per la Fondazione Montessori Italia.
Foto: Francesca Savino
Davvero interessante.
Avrei voluto leggere questo articolo tanti anni fa.
Grazie! Sono contenta che tu lo abbia trovato interessante. Magari chissà, in futuro potrà tornare utile…
Belle riflessioni. Mi fa piacere che siano state scritte insieme ad una educatrice Montessoriana. C’è ancora, purtroppo, l’idea sbagliata che nelle scuole Montessori non si dia spazio al gioco.